Cannabis light: un mercato in crescita

Cannabis light: un mercato in crescita fra ostracismo e indifferenza

Dal 2016, con l'entrata in vigore della legge n° 242 del 2 dicembre 2016, abbiamo assistito all'esplosione di un mercato che vanta una crescita esponenziale e viene stimato in 44 milioni di euro l'anno. Nonostante ciò, la coltivazione e la commercializzazione della cannabis light vengono ancora viste con il fumo negli occhi da porzioni del mondo politico e della società civile; nonché dalle procure che, in più di un caso, hanno interpretato la legge in maniera restrittiva, irrompendo nei negozi sorti all'indomani della liberalizzazione per sequestrare chili di canapa e denunciare i commercianti per detenzione e vendita di sostanze stupefacenti.

Una guerra senza senso alimentata da pregiudizi e calcoli politici, che rischia di minare seriamente un settore che, invece, è in grado di assicurare introiti da capogiro allo stato e creare numerosi posti di lavoro.

Il limbo inaccettabile degli addetti del settore

L'intero comparto della cannabis light è prigioniero di un paradosso tutto italiano: da una parte è autorizzato a operare grazie alla legge 242 che permette la coltivazione della canapa, dall'altra è preso in ostaggio dal Testo Unico sugli Stupefacenti del 1990, nel quale la canapa rientra fra le sostanze proibite e quindi, di fatto, ne è vietato l'uso.

Questo si traduce in una situazione ibrida, nella quale gli operatori possono coltivare e commercializzare canapa a basso contenuto di THC, ma nello stesso momento rischiano sequestri e denunce. Cosi come gli acquirenti, che possono acquistarla, ma non sono del tutto autorizzati a utilizzarla.

La situazione è davvero surreale. Mentre tutto il mondo si avvia verso la legalizzazione della cannabis, con progetti, sperimentazioni e legislazioni sempre più permissive, qui in Italia un settore che ha visto nascere più di 2000 attività commerciali nel solo 2018 viene tenuto a freno da un quadro normativo confuso e contraddittorio.

Nonostante la liberalizzazione del 2016, infatti, l'intero comparto è minacciato dall'attività frenetica di alcune procure che, muovendosi nelle maglie di una legislazione schizofrenica, continuano a condurre controverse operazioni di repressione. 

L'assurda guerra delle Procure

Nella più totale indifferenza della politica che, anzi, in alcuni casi supporta e incoraggia le forze dell'ordine ad attivarsi contro uno dei mercati più in crescita della nostra penisola, la cronaca degli ultimi mesi ha registrato numerosi maxi sequestri e decine di denunce nei confronti di operatori del settore della cannabis light.

La Procura di Taranto, a fine 2018, ha proceduto a perquisizioni e sequestri nei confronti di decine di commercianti, nell'ambito dell'operazione “Affari in fumo”, il cui nome la dice lunga sulla miopia e l'irragionevole ostracismo nei confronti di un mercato che, a conti fatti, potrebbe rivelarsi un formidabile volano per la nostra economia. Tra Calabria, Puglia, Lazio e Lombardia sono stati denunciati ben 48 titolari di esercizi commerciali e sequestrati vari chilogrammi di canapa light, nonostante la legge 242/2016 ne permetta la vendita.

Tra i tanti blitz condotti da Guardia di Finanza e reparti della Squadra Mobile in tutto il paese, il caso di Forlì e Cesena è quello che ha destato maggiore attenzione da parte dei media, sia per la quantità di canapa sequestrata, sia per la meticolosità con cui è stata condotta l'operazione: a dicembre 2018  gli agenti della Polizia di Stato perquisiscono tutti i negozi di cannabis light delle province emiliane, sequestrando ben 73 kg di canapa e accusando 15 commercianti di detenzione e vendita di sostanze stupefacenti.

Questo fatto ha giustamente allarmato le centinaia di punti vendita sorti in tutto il paese e la necessità di un quadro normativo preciso, che tuteli un settore in forte crescita, si è resa sempre più urgente e necessaria.
Dopo un periodo convulso, nel quale a ogni operazione delle procure si alzavano forti le voci indignate e preoccupate degli addetti del comparto, finalmente la Cassazione ha fissato un primo paletto: con una sentenza uscita a gennaio 2019, la Corte accoglie un ricorso presentato da uno dei commercianti perseguiti e, in estrema sintesi, stabilisce che se la coltivazione della cannabis light è legale, ne consegue che lo è anche la sua vendita, ponendo una pietra tombale, almeno si spera, sulle future azioni delle procure. 

Il proibizionismo non paga 

Il conflitto con la magistratura, reso possibile da una legislazione bizzarra e ambigua, non è però solo frutto dell'attivismo di questo o quel procuratore. Certo, è ovvio che le forze dell'ordine continuino a operare come hanno sempre fatto, ma è altrettanto vero la loro attività viene sollecitata da quei settori della politica e della società civile che non riescono a guardare a questo mercato per quello che è: un settore che produce ricchezza e, come dimostrato da numerosi studi, riduce il potere della criminalità, liberando inoltre migliaia di consumatori dalla morsa dell'illegalità.

Dal punto di vista economico, una ricerca commissionata a un ricercatore della Sorbona ha dimostrato che il commercio della cannabis light potrebbe fruttare all'erario ben 6 milioni di euro: non ci vuole molto a capire che questo è il business del secolo!

Ma l'affare per lo stato italiano non finisce qui. Due ricercatori dell'università di Salerno hanno dimostrato come la legalizzazione della cannabis light abbia sottratto circa 200 milioni di euro l'anno ai profitti della criminalità organizzata, che si è vista sottrarre un'importante fetta di consumatori. Ciò significa che, nonostante la cannabis light non abbia gli effetti psicotropi della sua ben più famosa sorella, esiste una parte dei consumatori ben disposti ad acquistarla legalmente, danneggiando significativamente le organizzazioni criminali che gestiscono lo spaccio.

Ma non finisce qui. Uno studio del Kent, che ha indagato il comportamento di più di 100.000 adolescenti, ha dimostrato come a politiche antiproibizioniste non corrisponda mai un aumento del consumo, anzi: con buona pace del fronte proibizionista italiano, la legalizzazione della canapa permette di agire direttamente sull'immaginario collettivo, dissociando il prodotto dalla suggestione di comportamenti trasgressivi e ribelli che tanto affascinano i più giovani.

Dai tempi del “Just say no” di Nancy Reagan, frase con la quale annunciava l'inizio di una guerra senza quartiere alla droga dentro e fuori i confini degli Usa,  ne è passato di tempo e anche l'amministrazione americana è dovuta scendere a più miti consigli, inaugurando un nuovo corso scandito da liberalizzazioni e sperimentazioni legislative.

In Italia, la politica dovrebbe scrollarsi di dosso le componenti più proibizioniste, quelle ancora ancorate all'infondato paradigma “semini erba, raccogli eroina” e avviare una serie di politiche che favoriscano la crescita di un settore che, come abbiamo visto, produce significativi vantaggi economici e sociali: a cominciare da una legislazione coerente che permetta agli addetti del settore di operare in tutta tranquillità, senza l'incubo della procura fuori alla porta.

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